Sebbene siano trascorsi più di 14 anni dalla comparsa della prima criptovaluta (bitcoin), dal punto di vista contabile ad oggi non esistono specifiche norme di riferimento relative al trattamento delle “cripto-attività” né in ambito internazionale (IAS/IFRS) né in ambito nazionale (OIC).
La mancanza di una precisa definizione contabile (ma anche giuridica) non è da intendersi come negligenza del legislatore, ma piuttosto è dovuta dal fatto che tale nuovo fenomeno si basa su una tecnologia tutt’oggi da considerare come incredibilmente innovativa e che presenta caratteristiche così particolari da non rendere possibile l’individuazione di un’unica disciplina da poter applicare e che possa definire nella complessità tutte le varie applicazioni e strumenti ad essa connessi. Pertanto il soggetto predisposto alla redazione del bilancio non può fare altrimenti che conformarsi a quella che è la normativa contabile (sia nazionale che internazionale) esistente scegliendo, in base ai vari casi, la disciplina da applicare che possa rappresentare nel migliore dei modi la fattispecie che sta prendendo in esame.
Il dibattito più autorevole, al momento, è avvenuto a livello internazionale, nel contesto di pubblica discussione dell’lFRS Interpretations Committee. Il Comitato ha osservato che esistono diverse tipologie di criptoasset e ai fini della discussione ha considerato nella sua analisi il sottoinsieme di criptovalute, che per essere definite tali, devono presentare le seguenti caratteristiche:
1. valute digitali o virtuali registrate su un libro mastro distribuito che utilizza la crittografia per garantirne la sicurezza;
2. non vengono emesse da alcuna autorità/entità;
3. il loro possesso non fa sorgere alcun contratto tra il possessore e una controparte.
L’lnternational Accounting Standard Board in alcuni documenti di staff pubblicati sul proprio sito, in prima battuta esclude le criptovalute dall’inquadramento come attività finanziarie in quanto:
– non essendo utilizzate frequentemente come mezzo di scambio non rientrano tra le disponibilità liquide;
– A differenza dei security token non attribuiscono al possessore il diritto di ottenere flussi finanziari o altra attività finanziaria da parte dell’emittente;
– Non costituiscono un contratto che possa essere estinto con strumenti di capitale dell’emittente;
– Non garantiscono partecipazione al capitale di un’altra entità, né determinano una remunerazione in base ai risultati economici dell’emittente1.
La conclusione a cui (per ora) giunge il Committee è che le criptovalute possano essere efficacemente inquadrate dai principi IAS 38 e IAS 2, che disciplinano rispettivamente le immobilizzazioni (considerandole quindi come “beni immateriali) e le rimanenze.
La classificazione delle criptovalute tra le immobilizzazioni o tra le rimanenze deve essere fatta sulla base del criterio generale individuato dallo IAS 1, il quale prevede che siano iscritte nelle rimanenze qualora vengano detenute per la negoziazione/vendita nel corso dell’attività ordinaria dell’impresa (di norma detenute per finalità di trading con prospettiva di realizzo entro 12 mesi); verranno invece iscritte tra le immobilizzazioni qualora la prospettiva di detenzione sia di medio/lungo termine.
La classificazione tra i beni immateriali comporta la rilevazione iniziale delle criptovalute al costo e la valutazione successiva a scelta tra:
1. Metodo del costo non ammortizzato, in quanto beni a vita utile indefinita, meno l’eventuale impairment test per rilevare una perdita durevole di valore;
2. Al fair value al netto di ammortamenti e perdite di valore rilevando le oscillazioni di fair value a OCI (Other Incomprensive income). L’utilizzo della rilevazione al fair value consente di aggiornare periodicamente il valore dell’attività in base a quello che è l’effettivo valore di mercato alla data di valutazione.
Nel caso invece di classificazione tra le rimanenze la criptovaluta verrà valutata al minore tra il costo e il valore di mercato.
Le criticità e perplessità relative a tale inquadramento balzano subito all’occhio dell’esperto di settore; si contesta difatti l’incapacità di cogliere quella che è la vera natura di tali strumenti in quanto nella maggior parte dei casi le criptovalute o sono utilizzate come mezzi di scambio o vengono detenute per fini speculativi, assimilandole pertanto a veri e propri investimenti finanziari.
Di conseguenza l’utilizzo del metodo di valutazione del costo ammortizzato appare totalmente inadeguato per rappresentare efficacemente il valore dinamico di tali strumenti, i quali come sappiamo sono caratterizzati al momento da forte volatilità.
D’altra parte l’utilizzo del fair value come metodo di valutazione ci porta a dover rilevare le eventuali perdite durevoli di valore a conto economico, cosa non di facile applicazione in quanto sorgerebbe il problema (non di poco conto) di dover stabilire quando una perdita di valore debba essere considerata durevole o meno.
Inoltre è bene sottolineare che il mancato inquadramento delle criptovalute tra le disponibilità liquide potrà essere in futuro corretto; tale fenomeno necessita di essere monitorato con attenzione in quanto come già successo a El Salvador, ovvero la prima nazione ad adottare Bitcoin come valuta a corso legale, le criptovalute potrebbero diventare mezzo di scambio prevalente nei rapporti con clienti e fornitori, aggiudicandosi così la natura di vere e proprie valute.
In riferimento alla nostra disciplina nazionale, l’Organismo Italiano di Contabilità ad oggi non ha emanato norme specifiche che regolino la contabilizzazione delle criptovalute nei bilanci redatti secondo i principi OIC. Escludendo ne l’inquadramento tra le disponibilità liquide (per i motivi precedentemente trattati) e tra le attività immateriali (in quanto, se pur prive di tangibilità, non producono ricavi futuri originati dalla vendita di beni o servizi), appaiono più propriamente definibili come beni immateriali (principio contabile OIC 24), in linea con l’interpretazione fornita in ambito comunitario. Pertanto la criptovaluta sarà qualificata tra le immobilizzazioni immateriali se destinata a permanere durevolmente nel patrimonio aziendale, altrimenti sarà iscritta nell’attivo circolante (magari in una voce appositamente creata) nel caso in cui sia destinata ad essere liquidata nel breve periodo.